Due strade aiutano a districarci nell’affabulazione di Claudia Lanteri in L’isola e il tempo (per la collana Unici di Einaudi, dedicata agli esordi). 

La prima è ben visibile, ma non è destinata ai distratti, ai lettori che usano la pagina in modo sempre più simile a un podcast in sottofondo. Esige concentrazione inedita il racconto in prima persona del protagonista Onofrio, detto Nonò, con un nome di marionettistica eloquenza che ne preannuncia due tratti: la sensibilità selvatica e sgusciante, e poi la coazione alla testimonianza che si compie per invocare l’assoluzione («Le storie che ci raccontiamo sono il perdono che nessun altro giudice ha la pazienza di darci»), negando però al tempo stesso una definitiva attendibilità («nel raccomodare la trama, quello che è stato nel passato non è tanto diverso da quello che non è stato»). Alternandosi fra adolescente e adulto invecchiato presto e male sull’isola di Linosa, in un’affannosa spola di trentasette capitoli fra la fine degli anni Cinquanta e una manciata di decenni dopo, Nonò mette al centro della sua intera storia un «fattaccio». 

All’epoca in cui è ragazzino, al largo delle Isole Pelagie viene segnalata un’imbarcazione alla deriva. Dentro c’è la famiglia Domoculta, dal continente, sterminata da non si sa chi. L’unico superstite è lo skipper Bruno Surico, sul quale Nonò, insieme a pochissimi altri (il professor Dalmasso, uno scienziato venuto dal Nord al quale fa da assistente, e il maresciallo dei carabinieri di Linosa), ha profondi sospetti, che non troveranno mai la conferma decisiva. Anzi, il delitto di gruppo è destinato a rimanere formalmente insoluto, sebbene in fin dei conti si capisca abbastanza presto chi è stato: è uno spoiler non mio ma di Einaudi stessa, che nel lungo risvolto di copertina, forse perché il «giallo» incastonato in L’isola e il tempo funge da pretesto per un’altra immaginazione più vasta, oppure, con maggiore probabilità, avendo paura che la libertà del lettore di naufragare nelle pagine potesse tramutarsi in renitenza all’acquisto, fa intravedere senza tante allusioni il principale colpo di scena dell’intera vicenda (nel libro avviene a cavallo dei capitoli 33 e 34, cioè appena prima della fine). Che poi ha un’importanza ridotta nell’economia del racconto.

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In L’isola e il tempo non c’è quindi solo l’intrigo,

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